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Terapia (mancata) del dolore, una protesta canadese


Sul dolore si scrivono molte cose, ma intanto il dolore per molti permane. Ogni tanto qualcuno prova ad alzare la voce, e non a caso è stavolta uno specialista in pensione, che le ha viste tutte e al contempo non ha più freni inibitori a dire quel che pensa, senza giri di parole.


Sul dolore si scrivono molte cose, ma intanto il dolore per molti permane. Ogni tanto qualcuno prova ad alzare la voce, e non a caso è stavolta uno specialista in pensione, che le ha viste tutte e al contempo non ha più freni inibitori a dire quel che pensa, senza giri di parole.

Per la verità il dottor Desmond Colohan cercava di dirlo anche prima, quand'era in attività. E’ un medico canadese, della clinica di Charlottetown, e ha sempre protestato per lo scarso interesse per la cura del dolore. Ora che è pensionato, però, l’affondo è senza freni, a partire proprio dal concetto che “ero l’unico specialista a tempo pieno del settore, e adesso non c’è più nessuno”, nell'intera provincia.

La sua clinica si trovava a curare il dolore di fino a 500 pazienti, e tra mezzi limitati e burocrazie richieste “ servivano tre anni solo per le valutazioni iniziali”. Quel lasso è stato poi ridotto a due mesi, ma comunque, scrive ora sull'edizione canadese del Guardian: “ Ho fallito, nel perorare la causa di quel 25% della popolazione che soffre di dolore cronico. Ho fatto ogni sforzo per educare politici, burocrati e vertici sanitari sul grave e crescente handicap rappresentato dal dolore, ma sembra che nessuno ascolti ”.

Colohan, come i migliori specialisti, perora un approccio “multidisciplinare” capace di integrare la terapia farmacologica del dolore con la cura della patologia associata e con gli aspetti psicoterapeutici. Facendo leva anzitutto sui medici di base. Che però, dice, non ne sono perlopiù capaci, “e non per colpa loro, ma perché non sono adeguatamente formati”. L'esito per molti pazienti è infine quello di aggiungere, al dolore, “ l'ansia, la depressione e alti tassi di suicidio”.

E qui si innesca per giunta un circolo vizioso. La correlazione tra ansia e dolore cronico è stata ulteriormente documentata nei giorni scorsi da una ricerca dell'Università americana del Vermont, pubblicata sulla rivista Biological Psychiatry. Quel circolo vizioso va dunque spezzato, e il primo a poterlo fare è il medico di base, a condizione che sia dotato di un'attenzione nutrita di competenza. L'Italia non è il Canada, e sembra aver fatto qualche passo in più, anche nella formazione degli operatori. Il monito di Colohan però va letto, anche da noi.


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