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Raffreddore, colpa dei dromedari?


A seguito di una indagine sulla "Mers", sono diventati gli indiziati numero uno.


Lo chiamano safīnat al-barr, “nave del deserto”. Per molti, e da molti millenni, è il dromedario a essere indiscutibilmente il “miglior amico dell’uomo”, con la sua bonaria capacità di percorrere quasi duecento chilometri al giorno con quintali di carico. Eppure, è divenuto ora l’indiziato numero uno di una delle più diffuse patologie globali, il banale raffreddore.

L’indagine, pubblicata sull’autorevole rivista “Pnas” (dell’Accademia Americana delle Scienze), è partita dal Policlinico Universitario di Bonn, i cui biologi erano sulle tracce della paventata “Mers”, la cosiddetta Sindrome Respiratoria Mediorientale, l’ultimo dei “coronavirus”. Identificato in Arabia Saudita quattro anni fa, è ritenuto più letale della Sars, tanto da essere catalogato a “emergenza sanitaria globale” dall’Organizzazione Mondiale della sanità, sebbene la sua diffusione, per la verità, sia stata fin qui assai limitata: qualche centinaio di casi in tutto, perlopiù in Arabia Saudita.

Comunque, nel lodevole tentativo di comprenderne la natura, i meccanismi di trasmissione e quindi i possibili rimedi, i dromedari sono emersi quali serbatoi di infezione. Di qui gli studi su un migliaio di esemplari, nonché la sorpresa: “Nel 6% dei casi abbiamo scoperto la presenza di patogeni imparentati con il virus HCoV-229E”, ossia il nome in codice del raffreddore umano.

Al colpo di scena se n’è aggiunto un altro. Approfondimenti genetici degli scienziati tedeschi avrebbero poi dimostrato che sarebbero stati proprio i dromedari a trasmettere all’essere umano i primordi del successivo raffreddore, probabilmente scatenando antiche pandemie. E questa non è affatto una buona notizia, perché rilancia il timore che l’ultimo virus, come il raffreddore, possa nel tempo diventare facilmente trasmissibile tra le persone.

All’allarme però corrisponde al contempo una rassicurazione. La “parentela” con il raffreddore svela anche che il nostro sistema immunitario sembra in grado di riconoscere e combattere quei patogeni. Riescono a penetrare nelle cellule umane ma non ad adattarvisi granché. Insomma, non si tratta di mettere in quarantena i dromedari. Possono, e anzi debbono, scorrazzare liberamente nelle asciutte terre mediorientali. Di più, potrebbero dare per l’ennesima volta una mano all’uomo, consentendogli di capire, e quindi prevenire, i pur remoti rischi di eventuali pandemie.


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