Dolore da colica renale? Meglio gli oppioidi
E’ una domanda che si pongono periodicamente gli studiosi, specie negli Stati Uniti, sulla scia talvolta di qualche mal posta e “interessata” polemica. Il quesito è quello sulla possibilità di sostituire efficacemente il farmaco oppiaceo con altri medicinali.
E’ una domanda che si pongono periodicamente gli studiosi, specie negli Stati Uniti, sulla scia talvolta di qualche mal posta e “interessata” polemica. Il quesito è quello sulla possibilità di sostituire efficacemente il farmaco oppiaceo con altri medicinali. L’ultimo, affrontato da due centri di ricerca di Brooklyn, riguarda l’ipotesi di impiegare il paracetamolo endovena per il dolore dei pazienti in colica renale al posto dell'oppioide. E la risposta, pubblicata sull’American Journal of Therapeutics, è ancora una volta negativa.
La colica è un disturbo urologico assai diffuso in tutto il mondo, coinvolgendo in particolare le persone di sesso maschile (meno, sembra, nella razza africana), a partire soprattutto dai quarant'anni, senza comunque esclusione per le donne, specie intorno ai cinquant'anni. Si traduce in un calcolo che genera un dolore molto intenso e subitaneo quando va a ostruire il flusso dell'urina, estendendo la sofferenza anche alla schiena, sui fianchi o nel basso ventre.
Gli studiosi hanno quindi riesaminato in modo sistematico l'intera letteratura scientifica prodotta tra il 1970 e i primi mesi di quest'anno, confrontando gli effetti prodotti tramite le diverse terapie antalgiche, a iniziare dall'impiego diffuso del paracetamolo. E la conclusione è piuttosto chiara. “In questa meta-analisi, abbiamo scoperto che i dati sull'efficacia, la sicurezza e l’analisi costo-benefico del paracetamolo IV per il dolore da coliche renali sono abbastanza deboli”.
Morale, il paracetamolo non dovrebbe essere considerato come alternativa agli oppioidi, neppure per la gestione primaria in pronto soccorso. E' una conclusione rilevante, non solo perché conferma la centralità dei farmaci oppiacei nella terapia del dolore, ma anche perché allunga l'elenco delle riserve sul paracetamolo stesso.
Un corposo studio britannico, tra gli altri, ha documentato l'anno scorso che il suo uso prolungato e ad alto dosaggio (per lenire dolori da artrite o gravi mal di schiena) porti a un aumento del 68% dei rischi di infarto o di ictus, e a un incremento del 50% di emorragie o ulcere. E' cruciale dunque la cautela e un'attenta diagnosi del medico sulle esigenze del singolo paziente e sui possibili effetti collaterali dell'interazione con altri eventuali farmaci. In Italia le indicazioni ufficiali sull'uso di prodotti a base di paracetamolo pongono il paletto di un massimo di 72 ore. Dagli Stati Uniti emergono ora inoltre riserve, non solo sulla sicurezza terapeutica, ma anche sull'efficacia, perfino di breve periodo.
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