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Progetto Obiettivo Zero Dolore

"Non puoi pagare? Non ti curo"


Nel periodico dibattito pubblico, specie negli Stati Uniti ma un po’ anche da noi, sull’urgenza dei farmaci oppioidi per fermare il dolore, emerge l’esclusione dalla terapia dei ceti meno abbienti.


Nel periodico dibattito pubblico, specie negli Stati Uniti ma un po’ anche da noi, sull’urgenza dei farmaci oppioidi per fermare il dolore – discussione generalmente, motivata perlopiù dalla paura della parola “oppioide”, come se il tema fosse quello… di “farsi una canna” – interviene un elemento di verità: è quella dell’esclusione dei ceti meno abbienti dalla terapia contro il dolore. Il nodo principale è qua, quello del diritto alla cura palliativa – sancito in Italia da una bella legge nel 2010 – e degli ostacoli che permangono per garantirla, sapendo che a farne le spese sono come al solito i più deboli.

L’indagine arriva dall’Università americana di Boston (in collaborazione con quella di San Francisco), ed è pubblicata sulla rivista scientifica Plos One. E ha rilevato significative disparità di natura addirittura “razziale” nell’attenzione dei medici a prescrivere gli oppiacei per combattere il dolore.

Sono stati riesaminati i dati nazionali raccolti sui servizi di pronto soccorso erogati per cinque anni, dal 2007 al 2011, alla popolazione adulta e “non-anziana”, ossia dai 18 ai 64 anni, con sintomatologie dolorifiche. Una netta discrepanza, a danno della popolazione di colore, è stata riscontrata soprattutto per i disturbi “non-definitivi” (quali, nella catalogazione americana, il mal di denti, il dolore alla schiena o addominale).

L’accesso alla cura e le decisioni sul trattamento del dolore dovrebbero assumersi prescindendo dall’etnia del paziente - notano e protestano i ricercatori, che sperano in - una sensibilizzazione degli addetti ai lavori, in modo che tengano alla larga i pregiudizi dalla loro pratica”. La natura del preconcetto sarebbe duplice. Da un lato (ma questo non è il caso dei medici), rimane qua e là il retaggio secondo il quale i “neri” sarebbero meno esposti degli altri dinanzi ad alcuni o tutti i disturbi dolorifici; sbagliato, la sofferenza è identica, incluse le sue cause. Dall’altro, c’è l’idea (e qui sì, c’è qualche operatore sanitario a covarla, almeno negli Stati Uniti) che i ceti più deboli siano meno attrezzati degli altri a una corretta gestione del farmaco, sicché ci pensano due volte a prescriverlo.

In Italia non sembra esserci tale problema di discriminazione razziale, ma permane quello di natura economica. Molti cittadini rinunciano alle cure perché non se le permettono. La sfida è anche qui, e consiste semplicemente nel dar seguito alla norma che stabilisce il diritto alla cura del dolore.


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